Un itinerario nella Novara dell’Ottocento attraverso i luoghi e le pagine della scrittrice

I LUOGHI:

La cartina della città

  1. Piazza delle Erbe
  2. Corso Cavour
  3. Sant’Eufemia
  4. Ospedale Maggiore
  5. Piazza del Rosario
  6. Duomo
  7. Basilica di San Gaudenzio
  8. San Giovanni Decollato
  9. Civico Istituto Bellini
  10. Teatro Coccia
  11. Palazzo del mercato
  12. Chiesa delle Grazie in San Martino

 

BIOGRAFIA DELLA MARCHESA COLOMBI

1. PIAZZA DELLE ERBE

Anonimo, Piazza delle Erbe di Novara, Galleria Giannoni (foto Studio Zambruno)

Già piazza delle Beccherie Maggiori, poi piazza Nuova, quindi piazza di San Rocco e piazza della Verdura, è nota a tutti i novaresi come piazza delle Erbe, per quanto dal 1917 sia ufficialmente intitolata a Cesare Battisti. In epoca medievale fu sede della corporazione dei calzolai, che possedeva i portici del lato settentrionale e che nel 1555 la dotò di fognature e la fece lastricare. In seguito e ancora nell’Ottocento vi si teneva il mercato delle carni e degli ortaggi. Maria Antonietta Torriani nacque in un edificio affacciato sulla piazza: la sua famiglia abitò in quattro diversi appartamenti, allora contrassegnati con i numeri civici 104  (sul lato nord, in un’abitazione di proprietà del padre Luigi, contigua alle scuole Canobiane, dove insegnò la madre, Carolina Imperatori, e dove Maria Antonietta frequentò, insieme alla sorella, le scuole primarie), 102, 126 (sul lato orientale) e 101 (sul lato opposto, in casa Moschini).

Piazza Delle Erbe (Coll. Guerra)

«Quando io le vedevo giornalmente, la casa di san Giovanni non era più che una memoria rimpianta del loro monotono passato. La signora Caterina non aveva più fiori. Abitavano sulla piazza del mercato di contro alla nostra casa. […]
Per quanto di buon’ora si alzassero i vicini, nessuno riesciva mai ad essere tanto sollecito da prevenire le due zitellone. Quanto a me, a qualunque ora scendessi dal letto, le vedevo sempre sedute ai due lati del balcone, con due panierini di vimini ai piedi per riporvi le lane, il filo, le forbici e tutti gli arnesi da lavoro. La signora Rosa cuciva, tenendosi il lavoro sulla punta del naso perché era miope; e la signora Caterina faceva calze con una rapidità sorprendente, dalla parte del cuore, perché non poteva voltare il capo dall’altro lato. Aveva raccolta qualche novità da raccontare alla sorella, perché a quell’ora aveva già fatta la sua corsa giù nella piazza del mercato, per le provviste della giornata»
(Senz’amore, p. 63).

2. CORSO CAVOUR
Elegante strada vivacizzata dall’attività di banche, uffici e negozi, unisce la parte più antica della città alla piazza Cavour, in cui campeggia dal 1869 la statua di Camillo Cavour, opera di Giuseppe Dini. Si chiamava corso di Porta Sempione: nel 1857 Antonelli ne propose l’allargamento con l’aggiunta di portici, che dalla Croce Bianca (angolo delle Ore) dovevano correre sul lato orientale fino alla piazza e alla stazione.

Corso Cavour (Coll. Guerra)

«Verso la metà di giugno, una sera che si moriva dal caldo, nel passare dinanzi al caffè Cavour, vidi Onorato, coi tre amici, seduto ad un tavolino, in mezzo alla gran folla di signori eleganti, e di camerieri che correvano portando i vassoi con le braccia alzate, e gridando: “Pronti! Vado!”
Noi non ci eravamo mai seduti a quel caffè di lusso. Le poche volte che si prendeva un gelato, s’andava ad un caffè modesto e meno frequentato e si entrava per una porticina di dietro, in una sala deserta. E là si domandavano tre gelati e due piattini in più; poi si facevano le parti. Il babbo e la matrigna davano ciascuno una parte del loro gelato, in un piattino, al bimbo. La Titina divideva il suo con me. Per lo più il cameriere portava soltanto tre cucchiaini, ed il babbo doveva reclamare ed impazientarsi, per avere gli altri due. Credo che il cameriere ci burlasse.
Quella sera, forse che il caldo le portasse via la testa, la matrigna propose di fermarci al caffè Cavour. Io arrossii al pensiero di fare tutto quell’armeggio dei piattini, dinanzi a tanta gente ed a lui; ma non potevo oppormi»
(Un matrimonio in provincia, p. 75).

«La Nanna lo sentiva bene che quegli spilloni le aprivano una vita nuova e nuovi orizzonti; ed era felice.
Camminando a fianco della Maddalena nelle contrade di Novara, torceva il collo ad ogni bottega per guardarsi nelle vetrine. Nel passare dinanzi al caffè Cavour, dove in quell’ora mattutina era tutto aperto, impannate e tende, si vide addirittura riflessa tutta, in un bello specchio che ornava la parete.
Non si contentò di guardarsi alla sfuggita come avrebbe fatto una signorina a modo. Corse a piantarsi all’ingresso del caffè in faccia allo specchio, e stette a contemplarsi a tutt’occhi, gridando: “Oh mamma! Guardate, mamma!”»
(In risaia, p. 36).

3.SANT’EUFEMIA
Chiesa barocca costruita nella seconda metà del Seicento, che mostra evidente un’impronta borrominiana. Sorge sui resti di una chiesa romanica, ha pianta a croce latina con una sola navata. La facciata risale al 1698.

Chiesa di Sant’Eufemia

«[…] appena fummo in istrada, dissi alla Titina: “Andiamo a messa a Sant’Eufemia!”
Lei non fece opposizioni. Ci mettemmo d’accordo per dire alla serva che non ne parlasse con nessuno e via di corsa, perché era assai lontana quella chiesa.
Entrammo che la messa era cominciata. Il prete leggeva l’epistola. Nell’aprir la porta urtai la figura colossale del mio Fausto, che stava in piedi, proprio accanto alla porta, come fanno i giovinotti, forse per dimostrare che sono là contro la loro volontà ed impazienti d’andarsene.
Ci guardò entrare, ci tenne dietro mentre cercammo un posto, e quando l’ebbi trovato poco discosto da lui per poterlo vedere, si voltò verso di noi, trascurando l’altare. Io feci altrettanto. Lo guardai intensamente, pazzamente tutto il tempo della messa»
(Un matrimonio in provincia, p. 53).

 

 

4.OSPEDALE MAGGIORE
Il cosiddetto Ritiro per le Esposte e la facciata principale, che guardano su corso Mazzini, furono progettati da Stefano Ignazio Melchioni nel 1822 e 1826. Il grande complesso si è formato attraverso numerosi interventi di allargamento e risistemazione di un nucleo originario costruito sin dal 1628. Il notevole cortile, con portici e loggiati, è opera del 1643 di Gian Francesco Soliva.

Ospedale Maggiore (Coll. Guerra)

«Dunque la mattina del giovedì la Nanna fu trasportata all’ospedale di Novara sul carro del Comune, e la Maddalena l’accompagnò camminandole accanto coi panieri della verdura che doveva vendere al mercato.
I due vecchi avevano trovata la figliola molto malandata. Tuttavia non davano grande importanza a quella malattia
. […]
La Nanna rimase all’ospedale circa due settimane; ed ogni giorno di visita, la Maddalena andò a vederla colle tasche rigonfie di tante cose da mangiare da far fare indigestione ad un tacchino. Ed ogni volta venne frugata alla porta, e le furono sequestrate quelle larghezze, ed entrò dalla figliola colle tasche vuote, brontolando contro i regolamenti severi dell’ospedale.
Però, grazie a quei regolamenti severi, l’ammalata non commise imprudenze, e poté guarire in poco tempo. Martino andò anche lui a veder la Nanna ogni festa; sedeva accanto al letto, spesso stava zitto una mezz’ora, ed era poi tutto impacciato nel dare un bacio alla figliola malata prima d’andarsene. Quando parlava le diceva dell’argento: la mamma lo aveva comperato coi pochi quattrini di lui uniti a quelli guadagnati dai figliolo in risaia.
[…]
E rideva, e si mostrava contento, poveretto. Ma nell’uscire dalla crociera, in mezzo a quelle due file di letti turchini, lasciando là dietro la sua figliola, pensava che avrebbero potuto morire le malate dei letti vicini, ed allora la Nanna si sarebbe trovata distesa fra due morte. E brontolava: “Maledetto argento!”»
(In risaia, p. 34-35).

5.PIAZZA DEL ROSARIO

Piazza del Rosario (Coll. Guerra)

Già piazza dello Statuto e ora piazza Gramsci, è conosciuta con il suo più antico nome di piazza del Rosario, che le deriva dalla chiesa di San Pietro al Rosario, costruita dal 1599. L’edificio annesso alla chiesa fu sede dei domenicani fino alla soppressione dell’ordine in epoca napoleonica; in seguito San Pietro fu affidata al clero regolare e alla confraternita del Sacro Monte di Pietà. All’interno è decorata da affreschi e dipinti di Giovanni Mauro Della Rovere, detto il Fiammenghino (1575-1640), di Giulio Cesare Procaccini (1574-1625). La facciata è abbellita da quattro statue di santi, opere di Giuseppe Argenti (1810-1876).

Piazza del Rosario (Coll. Guerra)

«La Giovannina abitava allora in piazza del Rosario, ed aveva un gran balcone al primo piano.
Fino a diciotto anni, dunque, non aveva mai veduto un teatro; quando verso la fine d’ottobre capitò a Novara un burattinaio, ed una bella sera si vide comparire sulla piazza del Rosario, e proprio dirimpetto al balcone della zia, la baracca dei burattini
[…].  Figuratevi la gioia della Giovannina! Sebbene la sala del balcone, di solito, stesse sempre chiusa, perché l’aria e la luce non facessero scolorire le seggiole ed il divano di reps, quella sera ella si piantò sul balcone appena vide la baracca, e non si mosse più finché la burattinata fu finita ed i lumi spenti» (I ragazzi di una volta e i ragazzi d’adesso, p. 143).

6. DUOMO

Il Duomo (Foto Gallarate)

L’attuale duomo fu edificato in stile neoclassico da Alessandro Antonelli negli anni 1864-69, dopo la demolizione dell’antica cattedrale romanica. Della chiesa medievale si possono ancora ammirare alcune parti del mosaico pavimentale, nel presbiterio e nell’abside, e l’annesso oratorio di San Siro, risalente al XII secolo, con una interessante decorazione pittorica. L’interno è diviso in tre navate: tra gli arredi e gli apparati si ricordano almeno il crocifisso ligneo del XIV secolo, i dipinti di Gaudenzio Ferrari, Bernardino Lanino, Bernardino Campi, la serie di arazzi del XVI secolo esposti nella navata centrale.

 

La navata centrale del Duomo (Foto Gallarate)

«[…] mi domandò invece quando potrebbe vedermi, dove andavo a messa. Io non esitai a dirgli che andavo in Duomo, e che il nostro banco era a destra della navata principale, dinanzi alla cappella di Sant’Agapito… E lui disse: “Domenica verrò in Duomo”. […]*
“È lui che chiamate un ghiacciaio col fuoco dentro? Avete un modo di parlare!”
“No; è De Rossi che lo diceva freddo come il ghiaccio, incapace d’innamorarsi… Ma non importa. Cosa t’ha detto?”
Nel ripetere m’accorsi che aveva detto poco in realtà. Ma aveva fatto capir molto. E la Maria fu del mio parere. Quel “Grazie” e quel “Domenica verrò in Duomo” erano una dichiarazione e una promessa. Cosa pensava quel signore col suo ghiacciaio?» (Un matrimonio in provincia, pp. 60, 62).

7. BASILICA DI SAN GAUDENZIO
La costruzione della basilica avvenne tra il 1577 e il 1656 su disegno di Pellegrino Tibaldi. Il campanile, progettato da Benedetto Alfieri, fu eretto fra il 1753 e il 1786. La cupola, che è il simbolo di Novara e che raggiunge i 121 metri di altezza, fu aggiunta tra il 1844 e il 1888 da Alessandro Antonelli. Nella basilica lo Scurolo custodisce l’urna con i resti di san Gaudenzio, primo vescovo della città. Le cappelle ospitano importanti opere pittoriche di Gaudenzio Ferrari (1475-1546), di Tanzio da Varallo, del Moncalvo, del Morazzone, del Fiammenghino (XVI-XVII secolo).

Cupola antonelliana da piazza delle Erbe (Coll. Guerra)

 

«Quella che a noi teneva luogo di carnovale, era l’ottava di San Gaudenzio. Dal ventidue di gennaio, che era appunto la gran festa di San Gaudenzio, primo vescovo di Novara, per otto giorni di seguito c’era la benedizione colla musica, per la quale venivano persino dei professori dell’orchestra della Scala, di Milano.
Noi avevamo un banco in prima fila, a sinistra dell’altar maggiore. Davanti a noi c’era un largo spazio vuoto, dove si fermavano gli uomini in piedi, per vedere i musicanti sull’organo che era a destra dell’altare.
Tutti gli anni andavamo assiduamente all’ottava, qualunque tempo facesse.
Della solennità non c’importava nulla, della musica poco, del Santo men che meno.
Ma si vedeva un po’ di gente, qualche giovinotto ci guardava; e nella monotonia della nostra esistenza era qualche cosa.
[…]
Fin dalla prima sera, dopo pochi minuti che ero in chiesa, udii uno strisciar di passi, alzai gli occhi con un gran batticuore, e vidi sfilare pian piano i “Moschettieri”, Portos davanti, e gli altri di dietro. Lui andò ad appoggiarsi al muro sotto il pulpito, in faccia a me, a due passi, e gli altri si schierarono in fila.
Mi fissò gli occhi negli occhi, e finché durò la funzione, stette a guardarmi, insistente, instancabile. Gli altri mi guardavano tutti, come se fossero tutti innamorati di me»
(Un matrimonio in provincia, pp. 69-70).

8. SAN GIOVANNI DECOLLATO
La chiesa di San Giovanni Decollato, costruita tra il 1636 e il 1643, era sede della confraternita omonima, la quale aveva tra le sue mansioni quella di assistere i condannati a morte. Singolare la struttura, costituita da un’unica aula che poggia su quattro colonne in granito, cui fu aggiunto posteriormente il coro.

L’interno di San Giovanni Decollato (Foto Tubito)

«[…] a quell’epoca un cugino parroco, cedeva alla vecchia parente un quartierino, annesso alla sua parrocchia di S. Giovanni; quattro camere e un giardinetto. Lo cedeva gratuitamente, a condizione che le tre donne tenessero in ordine la biancheria della chiesa ed i paramenti. […] Non c’era sagrestia più ben tenuta di quella di S. Giovanni» (Senz’amore, p. 56).

 

 

 

 

9. CIVICO ISTITUTO BELLINI
Il palazzo, oggi annesso all’Ospedale Maggiore e sede universitaria, fu costruito grazie all’elargizione della contessa Giuseppa Tornielli di Vergano, vedova Bellini, proprio perché ospitasse una scuola tecnica aperta a maschi e femmine. L’edificio, su di un’area messa a disposizione dal Comune, fu portato a termine nel 1837, su progetto dell’architetto milanese Pestagalli. Maria Antonietta Torriani frequentò la scuola tra il 1850 e il 1853.

Istituto Civico Bellini (Coll. Guerra)

«Altre volte, nelle scuole, anche civiche e governative, gli esami alla fine dell’anno scolastico si facevano in pubblico, alla presenza del sindaco, del prefetto, e di tutte le autorità cittadine.
Specialmente nelle scuole femminili, gli esami erano una pompa, e vi si faceva più mostra di vanità che di sapere. Le interrogazioni e gli esperimenti erano combinati in modo da far figurare le allieve migliori, e da lasciare nell’ombra le mediocri.
[…]
Ogni insegnante chiamava quella che sapeva meglio istruita nella sua specialità, e pregava qualche personaggio autorevole d’interrogarla.
Ed il pubblico, dopo aver uditi tre o quattro pappagallini ammaestrati ripetere le gesta di qualche eroe più o meno leggendario, enumerare dei fiumi e dei monti, e delle città capitali, eseguire qualche operazione aritmetica irta di moltiplicazioni e di segni difficili a capire, rimaneva sbalordito di tanta scienza»
(I ragazzi di una volta e i ragazzi d’adesso, p. 115).

10. TEATRO COCCIA

Il nuovo teatro Coccia (Coll. Guerra)

Il principale teatro cittadino sorge sul luogo in cui già nel 1779 era stato edificato, su progetto di Cosimo Morelli, un teatro dalle dimensioni più contenute, che nel 1873 era stato intitolato a Carlo Coccia, maestro di cappella della cattedrale. La nuova sala, inaugurata nel 1888, subì diversi interventi durante il Novecento e un lungo periodo di chiusura, necessario per i lavori di restauro che dal 1993 hanno consentito alla città di “riconquistare” il suo teatro.

 

«Un giorno le cugine Bonelli, che avevano lasciato definitivamente il collegio e

Giorno di mercato sul lato orientale del nuovo tetaro Coccia (Coll. Guerra)

facevano la signorina ed erano molto eleganti, c’invitarono ad andare con loro a teatro, dove si dava il Faust. E la matrigna consentì che ci andassimo, perché non costava nulla. […] .
Cambiavamo posto ad ogni atto per avere tutte il piacere di stare un tratto al parapetto, ai due lati del palco, dove si vedeva e si era vedute meglio.
Era un palco signorile, con una striscia di specchio incastonata nello stucco bianco a fili d’oro degli stipiti. Quando toccò a me ed alla mia cugina Maria di metterci davanti, dopo la Giuseppina e la Titina, che c’erano state prima perché erano le maggiori, mi vidi riflessa nello specchio dietro le spalle della Maria che mi stava in faccia, e quasi non mi riconobbi, tanto era abbagliante quel volto bianco, colle guancie rosee e gli occhi lucenti, per l’eccitazione che mi davano quel divertimento e quella novità. Non potevo togliere gli occhi da quello specchio. Mi attirava più dello spettacolo che non capivo molto, e mi sbalordiva, perché era la prima volta che udivo un’opera»
(Un matrimonio in provincia, pp. 33-34).

 

Palazzo del mercato (foto arch. Interlinea)

11. PIAZZA DEL MERCATO
Il palazzo, che ha pianta pressoché quadrata ed è porticato su tutti i lati, è compreso tra corso Italia e piazza Martiri della Libertà, un tempo rispettivamente corso di Porta Torino e piazza Castello. Fu costruito fra 1817 e 1842 su progetto di Luigi Orelli, per ospitare la contrattazione delle granaglie.

 

Piazza Vittorio Emanuele II e Palazzo del mercato (Coll. Guerra)

«A cena si mangiava freddo qualche avanzo del pranzo, e dopo, s’usciva un’altra volta, si correva all’altro capo di Novara fino al palazzo del mercato, un gran quadrilatero cinto da tutti i lati da bei portici alti e spaziosi, e si girava, si girava intorno a quel palazzo, sotto quelle arcate deserte e sonore, finché s’aveva la persuasione d’aver fatto un numero sufficiente di chilometri, per poter andare a dormire colla coscienza tranquilla» (Un matrimonio in provincia, p. 19).

 

 

12. CHIESA DELLE GRAZIE IN SAN MARTINO

Chiesa di San Martino

Ora nota come chiesa di San Martino, Santa Maria delle Grazie fu costruita a partire dal 1477 dai canonici lateranensi. L’interno è costituito da una sola navata con cappelle laterali e pitture attribuibili ad artisti del XV secolo, tra i quali Daniele De Bosis. Recenti restauri hanno rivelato la presenza di raffinate decorazioni.

«Qualcuno ci disse che a Novara nella chiesa delle Grazie annessa al ricovero dei vecchi poveri, s’era fatto un magnifico presepio, coi Giudei che facevano paura, colla luna, e col Gesù bambino di cera gialla. La chiesa del ricovero era nel sobborgo di san Martino, appunto fuori dalla porta Vercelli per cui noi altri, partendo da Borgo Vercelli, ci si poteva arrivare senza entrare in città» (Un triste Natale, pp. 21-22).

***

A cura di Silvia Benatti. Il Centro Novarese di Studi Letterari ringrazia per la collaborazione l’ufficio Musei Civici, l’archivio di Stato di Novara, Giovanni Silengo e Franco Guerra.

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